Padri e figli: due visioni che raramente coincidono
Essere genitori non è mai stato semplice, ma oggi lo è ancora meno. Le famiglie sono complesse, diverse, spesso frammentate; le relazioni cambiano, i ruoli si trasformano e i paragoni con il passato non funzionano più. Oggi diventare genitori è una vera missione sociale che richiede consapevolezza, sensibilità ed equilibrio emotivo senza un modello di cura e fiducia.
Eppure, generare un figlio non significa automaticamente saper amare.
Essere padre non implica necessariamente fare il padre.
E fare il padre non implica necessariamente amare. (ciascuno puo leggere nella lettaratura cosa è un buon padre o cosa fa)
Da qui nasce una domanda fondamentale: che cos’è un padre per un figlio, e che cos’è un figlio per un padre?
Due visioni distinte, spesso lontanissime tra loro.
La visione del figlio: cosa rappresenta un padre
Per un figlio, il padre è — o dovrebbe essere — una figura fondante, un punto di riferimento che lascia un’impronta profonda e duratura. In particolare, il padre rappresenta:
Una base sicura Una presenza stabile, accogliente, affidabile.
A volte basta sapere che il padre “c’è” perché il bambino si senta protetto.
Uno specchio. I bambini imparano chi sono anche attraverso lo sguardo dei genitori.
Uno sguardo che sostiene costruisce valore; uno sguardo che ignora o umilia può lasciare ferite che durano anni.
Un modello emotivo e comportamentale. Non un supereroe, ma un esempio: come si vive un’emozione, come si affronta una frustrazione, come si comunica, come si rispetta.
Una guida nel mondo. Il modo in cui il padre si relaziona alla realtà diventa per il figlio una prima mappa su cui tracciare i propri passi.
Una presenza che lascia un’impronta. Nel bene o nel male, la figura paterna segna.
L’assenza è un’impronta.
Il sarcasmo è un’impronta.
La cura è un’impronta.
La visione del padre: cosa rappresenta un figlio
Il modo in cui un padre percepisce un figlio dipende profondamente dalla sua maturità emotiva.
Idealmente, un figlio è:
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un essere autonomo, non un prolungamento del proprio ego né una fonte di attenzioni da cui pretendere gratificazione;
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una responsabilità morale, da proteggere, ascoltare, educare con continuità e dedizione;
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uno specchio interiore, che mette il padre davanti ai propri limiti, alle proprie paure, alle proprie fragilità;
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una relazione da costruire, non qualcosa che si impone o si pretende (l’affetto non può essere richiesto e forzato).
Tuttavia, per molti adulti poco consapevoli, un figlio può diventare tutt’altro: un prolungamento del proprio narcisismo, un trofeo da mostrare, una stampella emotiva, una compagnia a richiesta, un alibi per giustificare le proprie scelte (“lo faccio per te”, anche quando non è vero)
Un padre può convincersi di essere “il migliore del mondo” pur ferendo costantemente suo figlio: perché guarda solo attraverso le proprie intenzioni, non attraverso gli effetti che produce nel figlio.
È in questi casi che le due visioni — quella del padre e quella del figlio — smettono completamente di coincidere.
Perché queste percezioni non coincidono quasi mai
Da questo punto di vista è chiaro che i bambini percepiscono gli effetti, gli adulti guardano solo le loro intenzioni.
Per un bambino, l’effetto conta più dell’intento.
E spesso gli adulti non si accorgono della distanza tra ciò che credono di dare e ciò che il figlio realmente riceve.
Un padre può pensare:
«Faccio del mio meglio, quindi sono un buon padre.»
Il figlio, invece, può vivere:
«Non sono visto, non sono ascoltato, non sono rispettato.»
Un figlio, se guardato davvero, solleva l’anima.
Obbliga a crescere, a cambiare, a trasformarsi.
Questo processo avviene per amore, per rispetto della vita e del futuro.
Ma non tutti i genitori sono disposti a lasciarsi mettere in discussione.
Non tutti trovano il coraggio o il tempo per diventare davvero Buoni genitori.
La verità è che vedere sé stessi attraverso lo sguardo del proprio figlio è forse la sfida più grande della genitorialità.
C’è però una buona notizia: un figlio, da adulto, può curare le proprie ferite. ( noi, come adulti possiamo davvero farlo)
La psicologia lo conferma: non siamo destinati a ripetere la nostra storia.
Possiamo comprenderla, affrontarla, trasformarla.
L’altro lato della questione è che molti genitori non avranno mai il tempo o il coraggio per diventare ciò che avrebbero potuto essere.
Cambiare richiede vedere, e vedere sé stessi richiede una forza interiore che non tutti possiedono o desiderano attivare.
In fin dei conti, i nostri figli ci hanno scelti.
Hanno scelto proprio noi — con i nostri limiti, le nostre fragilità, le nostre imperfezioni — e tramite noi forgeranno la loro anima e la loro missione di vita.
Sono, spesso, molto più forti e coraggiosi di noi genitori incapaci o inconsapevoli.
E forse è proprio grazie alla loro forza che noi, un giorno, potremo diventare persone migliori di quelle che siamo state.
Valeria di Eleuterio.